Fili d’oro e d’argento per tesori «nascosti»
Al Poldi Pezzoli le «trame di lusso» di principi e dame del Rinascimento
Esposti abiti, damaschi, broccati e dipinti realizzati con tecniche segrete alla corte dei Visconti e degli Sforza.
Madonna con il Bambino, di Giovanni Ambrogio Bevilacqua: con oro, argento, seta. Tela del 1500 (dalla Pinacoteca del Castello Sforzesco)
Il colore più lussuoso nel Rinascimento? Il nero. Se si voleva un bel «nigro» lucente bisognava ottenerlo con una tintura di sostanze ferrose ricavata dalla molatura di spada, che però corrodeva le fibre naturali come la lana e la seta. Era dunque il massimo dello spreco, un lusso che solo un principe poteva permettersi, come si vede dal raro esempio di velluto nero quattrocentesco da oggi esposto al museo Poldi Pezzoli: il paliotto del Christus patiens, usato per il funerale di Beatrice d'Este, che chiude la mostra «Seta, oro, cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza». Un'occasione imperdibile per ammirare circa cinquanta pezzi (velluti, damaschi, lampassi, ricami con oro e perle, ma anche codici miniati, oreficerie e dipinti), che restano sempre chiusi negli armadi dei musei.
Curata da Chiara Buss e Annalisa Zanni, la mostra nasce da anni di ricerche dell'Istituto per la storia dell’arte lombarda (in collaborazione con nove istituzioni europee) sulla produzione serica in Lombardia dal XV secolo fino ad oggi, che verrà illustrata nei prossimi anni in cinque mostre che saranno ospitate in diversi musei. Il racconto di questo primo appuntamento prende avvio nel 1442 quando Filippo Maria, l'ultimo dei Visconti, chiama a Milano i migliori artigiani della seta per impiantare un'industria che diventa subito competitiva con quelle avviate di Firenze, Genova e Venezia. Anche gli Sforza la sosterranno perché il lusso, nella società di allora basata sul censo, era un fondamentale segno di potere e la nuova dinastia doveva convincere di essere quello che non era: l'erede legittima dei Visconti. In quarant'anni i setaioli milanesi raggiunsero l'apice del prestigio per deperire a poco a poco, quando venne meno il necessario sostegno politico della corte. Appesi alle pareti o indossati in occasione di feste e ricevimenti di ambasciatori, i tessuti erano parte del linguaggio politico dei tempi.
Caftano di fine ’400, dal Museo Nazionale di Bucarest
«C'è un frammento di damaschino d'oro, grande quanto un libro aperto, che fa un discorso sul matrimonio di Massimiliano I con Bianca Maria Sforza», spiega Chiara Buss. «Attraverso un bocciolo di sempreviva tessuto nella trama del vestito dell'imperatore, egli affermava che la stirpe degli Sforza sarebbe diventata imperiale e infatti Ludovico il Moro riceverà l'investitura». Superiore a quello dei quadri, il valore dei tessuti era equiparato a quello dei gioielli e dei terreni. Fra i più preziosi c'erano quelli d'oro (una sottile lamina veniva attorcigliata su un filo di seta) e quelli di colore rosso, il cremisi, ottenuto con migliaia di cocciniglie provenienti dall'Oriente e barattate con pezze prodotte a Milano, come si vede dal rarissimo caftano appartenuto a un boiardo della Valacchia, prestato dal museo di Bucarest. Non fu un caso che, alla fine del Quattrocento, Ludovico il Moro fosse uno dei primi a indossare «la turca» che si diffonderà poi nel XVI secolo. È questo è proprio uno degli aspetti più affascinanti della mostra: vedere i tessuti fianco a fianco ai quadri dove vengono indossati dai personaggi del tempo, è come veder vivere la storiA.
Museo POLDI PEZZOLI - Via Manzoni, 12 - Milano - fino al 21 febbraio 2010
Me che meraviglia!!! Ma ti l'hai visitata? Accidenti spero di poterla vedere, deve essere emozionante.
RispondiEliminaCiao Alessandra
Non l'ho ancora vista, è stata inaugurata ieri. C'è tempo fino a febbraio.
RispondiEliminaBaci
vorrei sapere qual'è l'autore della seconda opera e di chi si tratta. ricordo che l'immagine è stata posta in prima pagina del corriere della sera del 2 ottobre 2009!
RispondiElimina